Gian Paolo Serino è un critico letterario che dopo anni dedicati a leggere e giudicare “gli altri” ha deciso di cimentarsi per una volta “lui” con un debutto, va riconosciuto, straordinariamente originale sia per contenuto che per stile narrativo.
Le “stelle” che cadono sono alcuni grandi personaggi del novecento raccontati in un singolo episodio privato e poco noto della loro vita ma sempre realmente accaduto, e che alla fine si ritrovano in un finale a sorpresa che non svelo.
Quello che potrebbe essere un perfetto soggetto per un film è in realtà una “scusa” per trasmetterci con questo suggestivo romanzo quella che prima ancora che un mestiere è evidentemente la sua grande passione di vita. Una passione viscerale per tutto ciò che è arte e non necessariamente solo letteraria, che pure prevale, e per le grandi storie, intese come grandi narrazioni.
L’effetto, del tutto inaspettato, da qui l’originalità assoluta del libro, è quello di farci vivere da lettori un continuo conflitto tra due diverse emozioni parallele e contrapposte dove nessuna delle due prevale sull’altra e che alla fine convivono.
La prima è quella di trovarsi sempre più immersi nel mondo immaginario e del tutto fantastico di Serino dove sembra bandita ogni forma di banalità, visto che è un mondo popolato solo da “gente” come Edgar Allan Poe o Pablo Picasso, non certo da “ordinary people” insomma.
La seconda è quella della “caduta” pesante di quello stesso mondo, perché di tutti quei grandi artisti, assurti a mito mondiale, Serino ce ne racconta le imprevedibili debolezze che in alcuni casi diventano vere e proprie “bassezze” umane, e non solo.
E’ un po’ come se l’autore avesse voluto da un lato distruggere in un colpo solo tutto il proprio mondo ma dall’altro raccontarci quanto invece valga la pena di viverlo. E ci riesce benissimo perché al termine della lettura finiamo paradossalmente per sognare tutti un mondo popolato da geni letterari o artistici o anche solo grandi divi del cinema “grandi” anche nelle loro piccole miserie umane, divertendoci a scegliere come in fondo fa lo stesso Serino che non si sforza mai di essere obiettivo.
Il grande merito del romanzo infatti è quello di avere differenziato lo stile narrativo a seconda del diverso protagonista “di turno” perché dovendo il lettore necessariamente penetrare nel loro mondo è ovvio che quello di Cary Grant non è e non può essere quello di Hemingway come quello di Kafka non può essere quello di Joseph Kennedy.
In questo si riconosce il tratto di chi è abituato a leggere la scrittura “altrui” di cui è pure un grande conoscitore, cosa che l’abituale romanziere, per definizione avvitato su se stesso come tutti i personaggi qui raccontati, non avrebbe mai saputo o potuto fare.
Romanzo imperdibile per tutti quelli che ancora credono nell’importanza del “bello” non necessariamente vissuto solo come mera evasione alla vita di tutti i giorni.
Davide Steccanella