Passeggiando fra gli archivi dell’Asino ho visto che l’assegnazione del Nobel a Patrick Modiano lo scorso anno aveva provocato una certa discussione, e la curiosità per uno scrittore praticamente sconosciuto aveva indotto diversi Asinisti a scoprire i suoi libri. Nulla del genere è accaduto per la vincitrice di quest’anno, Svetlana Aleksievič. Il fatto che Modiano scriva libri piuttosto brevi mentre l’ultima opera della Aleksievič sia un tomone di oltre 700 pagine non penso affatto sia stato l’elemento determinante per dissuadere gli Asinisti ( tanto per dire, uno si è recentemente cimentato con quel colosso che è I Buddenbrook ) né a me è stato ordinato da nessuno di leggere per forza i libri dei neo-Nobel. Però un’amica mi ha raccomandato così caldamente Tempo di seconda mano che non ho potuto fare a meno di leggerlo. E senza per nulla pentirmi di averlo fatto.
In breve, per chi non lo sapesse, la Aleksievič è una giornalista bielorussa – ma di origine ucraina e di lingua russa – che già ai tempi dell’URSS si è occupata di argomenti spinosi, dalla guerra in Afghanistan al disastro di Černobyl’ alla Cecenia. Dopo la dissoluzione dell’impero ha continuato il suo lavoro entrando ovviamente in conflitto col regime bielorusso, tanto che per molti anni è stata costretta a vivere in esilio. In Tempo di seconda mano, da poco uscito,affronta il problema della Russia dopo la fine del comunismo e la disgregazione dell’Unione Sovietica non dal punto di vista politico e strategico, ma delle ripercussioni sulla vita della gente comune. Dà così voce a molte figure diverse, dai nostalgici del vecchio regime, ai disorientati, agli entusiasti del cambiamento poi cocentemente delusi, a chi apprezza Putin perché mostra i muscoli, a chi amaramente constata di essere soltanto passato da un regime oppressivo ad un altro. Il libro si legge tutto d’un fiato, come un lungo reportage giornalistico appassionante e di qualità. L’autrice non parla in prima persona, fa parlare i personaggi più diversi, ma naturalmente opera una sapiente scelta delle voci narranti. E ci fornisce così un quadro davvero interessante e ben ragionato della situazione russa, dei giganteschi movimenti e scompensi degli ultimi venti anni. E anche però una fotografia di quello che invece dello spirito russo, nel bene e nel male, non è mutato, perché resta uguale da secoli, quello spirito che rende la Russia così unica e così diversa dai paesi europei, un misto di orgoglio e rassegnazione, rabbia e disincanto.
A rendere il libro leggibile e godibile contribuisce anche una costante vena ironica di sottofondo, una ironia non certo sguaiata ma raffinata e disincantata. Due brevi esempi della sua scrittura:
” Democrazia! Una parola contaminata in Russia. Il Partito democratico è la più folgorante delle barzellette. ”
” Sai qual è il mio timore? Che quando c’era dell’interesse noi eravamo imbavagliati e ora che saremmo liberi di raccontare ogni cosa ormai nessuno ci ascolta più. Non ci legge. Quando gli editori ricevono nuovi manoscritti sui lager li restituiscono senza leggerli. ‘Di nuovo Stalin e Berija? Non si vendono più. Ormai il lettore ha fatto il pieno.‘ ”
Alcuni hanno storto il naso all’assegnazione del Nobel, sostenendo che la Aleksievič è una giornalista non una scrittrice e che il premio ha valenze soprattutto politiche. Io penso che qui siamo ai massimi livelli di quella forma letteraria che è il giornalismo d’inchiesta, dove la cronaca si eleva al livello di storia, e che il Nobel vada benissimo.
Una nota conclusiva per elogiare l’editore Bompiani – e soprattutto i due curatori: Il libro è corredato di oltre un centinaio di pagine di note e di cronologia, molto ben curate e assolutamente indispensabili per inquadrare storicamente gli avvenimenti narrati e i molti personaggi citati.
Tiresia