Sandro è un quarantenne totalmente irrisolto che di sè commenta: “Non posso neanche dire che non sono riuscito a fare quello che volevo, perchè non ci ho nemmeno provato“. E’ il protagonista, assieme ad alcuni altri personaggi, di questo lungo romanzo che ha come tema fondamentale quello dell’eterno precariato nella provincia italiana, in questo caso Forte dei Marmi; non ovviamente quella dei scintillanti mesi estivi, ma quella della piccola quotidianità del resto dell’anno.
Peccato che la trama sia troppo complicata, con alcuni azzardi narrativi (ad esempio il concepimento dei due figli di Serena, la bellissima co-protagonista del romanzo) che nel complesso non mi sono parsi riusciti.
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Fabio Genovesi “Esche vive”
Ho incontrato questo scrittore, che non conoscevo, al festival della Letteratura di Mantova, e avendolo trovato simpatico e insolito, ho letto questo romanzo, che non è niente male. È ovvio che i libri assomiglino a chi li scrive, ma constatarlo è un’altra cosa.
L’io narrante (“purtroppo mi chiamo Fiorenzo“) vive a Muglione, paesotto immaginario della nient’affatto immaginaria provincia pisana, fatta di piccola vita, precariato giovanile, fossi brulicanti di pesci talora un po’ inquietanti.
A quattordici anni Fiorenzo, per ucciderne uno con un super-petardo, perde la mano destra. Per di più F. ha anche perso la amata madre e si ritrova a vivere con un padre, lunatico proprietario di un negozio di pesca, che lo pensa decisamente poco preferendo dedicarsi alla attività di allenatore e manager della locale squadra di giovani ciclisti.
Nulla di più lontano, però, da questo romanzo, di toni piagnoni o vittimistici. L’intrepido F., in particolare, si dedica anima e corpo alla musica heavy metal quale voce di un gruppo, i “Metal Devastation”, destinato a “spaccare” ma che per il momento non riesce a fare neppure una esibizione.
Poi c’è Tiziana, una bella ragazza di trent’anni che ha preso un master all’estero ma ha deciso di tornare al paese, dove le hanno offerto la gestione del circolo “Infogiovani”, che però è frequentato solo da qualche pensionato.
Poi c’è Mirko, che il padre di F. ha scoperto per caso in Molise, e che a quattordici anni va in bicicletta come un fenomeno ma per il resto è di un candore e di una vulnerabilità disarmanti.
Poi c’è la provincia toscana, salace e impietosa, che chiama “Pavarotti” un muto, “Mitraglia” un balbuziente e naturalmente “Manina” il povero Fiorenzo.
Poi c’è la pesca, ossia la passione principale di Genovesi, che dice di dedicarsi a scrivere e ad altre cose solo nel tempo libero che questa gli lascia.
La storia è singolare e un po’ sghemba, condita da quel pizzico di follia tutta Toscana, ma si fa leggere, perché Genovesi è uno che ha idee e sa scrivere sul serio.
Peccato che libro sia secondo me troppo lungo (che sia una scelta/moda editoriale non dover andare sotto le 350 pagine?); ridurre di un terzo avrebbe decisamente giovato senza nulla togliere.
Finale da narratore di razza.
Poronga