Se volessi iniziare con un battuta un po’ logora, potrei dire che questo è senz’altro il miglior libro estone che abbia mai letto, essendo anche l’unico. Mi auguro che qualcuno di voi conosca la letteratura estone meglio di me, ma va detto comunque che Kross una certa notorietà l’ha raggiunta, se è stato più volte candidato al Nobel – che secondo Doris Lessing avrebbe ampiamente meritato – e almeno un suo libro è apparso anche in Italia, Il pazzo dello zar, pubblicato nel 1994 da Garzanti, non so con quanto successo. Viene però da pensare che nel 1994 l’Estonia era tornata ad essere libera e indipendente, mentre sarebbe stato più significativo fare sentire la voce di Kross negli anni precedenti.
Adesso Iperborea traduce questi tre racconti, scritti nel 1978-79, che vedono come protagonista Peter, alter ego dell’autore nato come lui nel 1920, e che si svolgono in tre momenti cruciali della storia moderna dell’Estonia. Il primo nel 1939, a guerra appena iniziata. Germania e Unione Sovietica hanno firmato il famoso e famigerato patto, l’Estonia appartiene alla sfera d’influenza dell’URSS che si appresta ad inghiottirla, ma Hitler pone la numerosa popolazione estone di origine tedesca o comunque germanofila di fronte a una scelta di campo: abbandonare l’Estonia per recarsi a colonizzare i territori polacchi appena conquistati. Il giovane protagonista, ancora studente, vive in prima persona, come molti altri Estoni, lo strazio di questa scelta, amici che si sentono traditi da amici, fidanzati che vengono abbandonati dalle fidanzate. Una storia che, in nome di assurdi valori ” etnici ” si ripete sino ai giorni nostri.
Nel secondo racconto siamo nel 1944, l’Estonia è occupata dai nazisti già da tre anni, anche se il crollo tedesco è ormai vicino e prevedibile. Il protagonista viene arrestato e detenuto in prigione, più volte interrogato e sospettato di uno dei crimini più gravi per qualunque dittatura: avere scritto un libro. Il cui manoscritto è finito nelle mani dei nazisti, per fortuna senza firma, ma i sospettati si riducono a due. Negando, Peter rischia di mettere in pericolo la vita di un amico.
L’ultimo racconto, che dà il titolo al libro, si svolge nel 1946, la guerra è finita e l’Estonia è una provincia sovietica. Peter si trova nella stessa prigione di Tallin, ma questa volta non è una prigione nazista ma sovietica: sorte condivisa da diversi suoi compagni di cella nella finzione, ma capitata davvero a Kross e a molti altri dissidenti nella vita reale. In questo racconto, più che negli altri, ci viene presentata una galleria di personaggi interessanti per il loro passato e per il ruolo che hanno svolto negli anni della guerra. L’azione si svolge interamente in una cella con oltre venti prigionieri, tutti, naturalmente, con la seria possibilità di finire nei gulag sovietici. Peter ce li presenta uno ad uno, e la cosa curiosa è che mentre nei primi due racconti l’atmosfera è tragica e plumbea, qui, nonostante si rischino pene di dieci anni nei campi di lavoro, c’è una ironia che in qualche modo ricorda lo spirito dei grandi scrittori russi. Come se, a confronto della spietata logica nazista, la pur altrettanto spietata macchina sovietica sia tuttavia contaminata da una illogicità di fondo, da una situazione in cui prevale l’assurdo. Qui i prigionieri noni sanno neanche di cosa esattamente siano accusati, in un’atmosfera che non può non richiamare alla mente Kafka e, pur nella drammaticità della situazione reale, Kross riesce comunque a ridicolizzare l’ottusa burocrazia sovietica. E quindi a tener vivo lo spirito ribelle e indipendente di una piccola nazione.
Tiresia