Nel primo dei quattro romanzi che lo vedono protagonista Sherlock Holmes dà prova della sua perspicacia deduttiva, sorretta da una enciclopedica conoscenza criminologica, per venire a capo di un omicidio all’apparenza pressoché insolubile: un uomo trovato morto in una casa disabitata con accanto un anello nuziale da donna e, sul muro, la scritta “Rache” vergata col sangue.
Questo, assieme a un altro non meno ingarbugliato omicidio che viene scoperto poco dopo, è l’esito di una complicatissima storia che nasce addirittura nell’America dei pionieri e che si sviluppa nella comunità dei Mormoni.
L’impianto è molto teatrale: un salvataggio in extremis nell’arido deserto, l’amore che sboccia fra due magnifici giovani, la sopraffazione, la morte di uno dei due, eccetera eccetera; il tutto per arrivare alla resa dei conti nella scura e fumosa Londra.
Teatrale e un po’ ampolloso è anche lo stile del racconto.
Da neofita di S. Holmes devo dire che questo romanzo proprio non mi ha entusiasmato; per dire, Agatha Christie è tutto un altro andare, a partire dalle trame, molto più ingegnose ed avvincenti.
Quale nota di colore aggiungo che ho trovato S. Holmes presuntuosissimo e spocchioso, al punto quasi da sperare che le sue peraltro abbastanza avventurose deduzioni trovassero nel romanzo una sonora smentita.
Curioso infine che Doyle, cantore della ragione e della scienza, si sia alla fine convertito allo spiritismo.
Poronga