Mi piace quando ti parlano di un libro e te ne sovviene un altro.
A me l’ultima recensione di Tiresia ha fatto venire in mente questo romanzo.
La protagonista è una ragazza quattordicenne molto graziosa che viene violentata e fatta a pezzi da un vicino, un maniaco serial killer
Susie muore, ma non in modo definitivo; “dal suo cielo” guarda le persone care. Diventa anzi onnivedente e onnisciente, anche rispetto al passato.
Uno direbbe che, con un tema del genere, non si va a finire da nessuna parte. E invece la Sebold riesce a cavarne un libro davvero bello e molto particolare.
È un romanzo dedicato, colpisce la serenità e la dolcezza con la quale Susie parla.
Sebold racconta della irreparabilità della morte che i genitori di Susie, la sorella Lindsey (figura bellissima) e il fratellino Bukley quotidianamente constatano. E qui la Nostra infila delle pagine davvero toccanti, ad esempio quando il padre spiega a Bukley che Susie è morta; o Lindesy che fa la doccia al buio e piange.
Eppure, pur essendo un racconto così reale, disarmante, in esso spira un’aria di mistero, soprannaturalità: così lo spirito (?) di Susie che sfiora in un soffio la sua amica Ruth e in qualche modo accarezza Ray, il fidanzatino di Susie; oppure le visioni o apparizioni di Susie, che aleggia, e prova un rimpianto e una nostalgia lievi.
Un libro dolce e malinconico insieme, che sopporta, senza mai rischiare il patetico, l’andata via della madre, il suo ritorno per l’infarto del marito, e il tenero, grande amore che questi le porta, sempre.
“ ‘Insomma, se ti dicessi che 10 minuti fa Susie era in questa stanza cosa diresti?’ ‘ Che sei pazzo, e che probabilmente è vero’. Papà seguì col dito il profilo di mamma e si fermò sulle labbra. Le labbra si dischiusero appena appena. ‘Ti devi chinare’ le disse ‘ Sono pur sempre un malato’.
E guardai i miei genitori che si baciavano. Tenevano gli occhi aperti e mia madre fu la prima a piangere, le lacrime caddero sulle guance di mio padre finché non pianse anche lui’”.
E non ditemi che sto diventando un vecchio piagnone; ‘sta roba l’ho scritta più di dieci anni fa.
A meno che un po’ piagnone non lo sia sempre stato…
Poronga