“Johnny” è un degno rappresentante della classe medio-alta italiana antifascista.
Di buoni studi- nel bel mezzo dell’abbrutimento della vita partigiana si accorge, sgomento, di aver dimenticato l’aoristo di non so più che verbo greco- conosce perfettamente, non si sa perché, l’inglese e dopo una smaniosa attesa si fa partigiano.
Di ideali non certo comunisti, dopo un breve periodo delle brigate “rosse” trova finalmente i a lui più affini partigiani badogliani e si unisce a loro.
Si tratta quindi di un romanzo sulla guerra partigiana non comunista, ma non è stato per me questo ne è l’unico né il principale motivo d’interesse.
Il libro mi pare racconti non tanto la guerra partigiana come fatto storico (ne viene narrato solo un pezzetto, fra le montagne piemontesi, che tra l’altro si conclude con la sconfitta dei partigiani) quanto la vicenda umana di coloro che si trovavano a combatterla.
Accanto a Johnny, l’unica figura fissa del romanzo, passano e vanno tanti personaggi: Tito, Pierre, Ettore, Michele, il mitico Comandante Nord. Oltre a loro, sempre presenti, sono la morte e la estrema durezza della vita partigiana.
Non mi è parsa un’opera memorabile, ma bella senz’altro, specie per quel ritegno ed essenzialità della narrazione della quale partecipano molti scrittori piemontesi, quasi sempre i migliori.
A ciò Fenoglio aggiunge una vera e propria ricerca e, a volte, sperimentazione linguistica -ciò a prescindere dalle interpolazioni di quando Johnny pensa in inglese-, che lo porta a risultati espressivi decisamente interessanti.
Poronga
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