Amos Oz ” Una storia di amore e di tenebra “

amIl piccolo Amos Oz non sognava di diventare un pompiere, un esploratore o tanto meno un rabbino. Voleva diventare un libro ( ” Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi … su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca, a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.” Non dimentichiamo che Oz è nato nel 1939,  la sua infanzia è stata segnata dall’Olocausto ).Il destino di Oz era in qualche modo scritto, il padre la madre erano entrambi intellettuali, come pure altri antenati, e il loro unico figlio è cresciuto in una casa con migliaia di libri a stretto contatto con altre persone di cultura che abitavano lo stesso quartiere di Gerusalemme. Spassosa la descrizione dell’unico abitante in grado di aggiustare un rubinetto o piantare un chiodo, perciò soprannominato Baruch mani d’oro, mentre ” tutti gli altri erano in grado di analizzare con fiera retorica quanto fosse importante che il popolo ebraico tornasse finalmente alla vita nei campi e al lavoro manuale: di intellettuali, dicevano, ne abbiamo fin sopra i capelli ” ).

In questo grande romanzo autobiografico Oz descrive la storia della sua famiglia per quattro generazioni e i suoi primi anni di vita, sino al grande dolore causato dal suicidio della madre avvenuto quando aveva tredici anni, al rapporto col padre, severo studioso con cui c’era affetto ma scarsa comunicazione; e poi la scelta appena quindicenne di vivere in un kibbutz, e gli studi e l’inizio della sua carriera di scrittore. In un romanzo di questa portata e di queste dimensioni vediamo in pieno le qualità di Oz, la sua perfetta padronanza delle tecniche letterarie, la capacità di intersecare tempi e piani narrativi diversi e di descrivere, inserendoli nel flusso della narrazione, sia i personaggi della sua famiglia sia i più disparati personaggi famosi legati alla storia d’Israele.Fra i tanti, voglio citare lo scrittore Agnon, che Oz conosce fin dalla prima infanzia in quanto vicino di casa e facente parte della cerchia degli amici dei genitori. ( Sull’Asino si è parlato di Yehoshua, Grossman e Oz, ma mai di Agnon, che è il capostipite dei moderni scrittori israeliani. Prima o poi bisognerà parlarne )

Insomma, senz’altro un bel libro che vale la pena di leggere anche se lungo e impegnativo. Io ho trovato molto bella la prima metà, poi diventa un po’ meno bella la parte sulla nascita di Israele e il sionismo, ma le ultime cento pagine prendono nuovamente quota. Un maestoso affresco familiare che ricorda altri due grandi scrittori ebraici, sia pur trasferiti oltre Atlantico, Singer e Potok. Per Poronga questo è il capolavoro di Oz; pur avendolo molto apprezzato, io rimango con Giuda, che è meno ambizioso ma più moderno e originale.

P.S. Questo libro contiene una perla che per me è di valore eccezionale. E’ il capitolo quinto, quattro pagine nelle quali Oz ci offre con sapienza ed ironia le sue idee sul rapporto fra scrittori, libri e lettori, ed in particolare un’analisi spietata di cosa caratterizzi il cattivo lettore. Ne ho tratto alcune citazioni, ma sono così numerose che ho pensato di farne una scheda a parte. Ma anche così ho dovuto rinunciare a riportare righe indimenticabili, quindi consiglio a tutti di andarsi a leggere quelle quattro pagine. Essendo all’inizio, probabilmente chi usa l’e-reader può farlo gratuitamente altrimenti vi assicuro che quelle sole pagine valgono il prezzo del libro, del resto di soli 14 euro.  Anzi, vorrei proporre a Poronga di renderle disponibili sull’Asino, magari in aggiunta a quelle bellissime di Calvino citate nella sezione Benvenuti.

Tiresia

1 thoughts on “Amos Oz ” Una storia di amore e di tenebra “

  1. Un libro a ragione ambizioso, probabilmente l’opera più impegnativa di uno dei massimi scrittori contemporanei, e che Oz affronta nella piena maturità.
    “Storia di amore” mi è sembrato fondamentalmente un libro sull’essere ebrei, e poi, ma subito dopo, un libro sulle radici personali di Oz, peraltro strettamente intrecciate all’ebraismo suo e della sua famiglia.
    Non è una saga familiare, anche se Oz dedica ampio spazio alla storia dei suoi bisnonni, nonni e genitori. Non è un romanzo storico, anche se Oz è molto attento, in una minuziosa ricostruzione della nascita dello Stato di Israele, a raccontare una vicenda collettiva di straordinaria complessità e drammaticità.
    Insomma, è un libro difficilmente definibile e di cui è difficile parlare; certamente atipico e nel quale appaiono come sedimentate le esperienze e le riflessioni di un popolo e, assieme a lui, di un grande intellettuale.
    Non è neanche un libro di facile lettura, ed anzi -sono d’accordo con Tiresia- verso la metà si appesantisce, per poi però superare questa specie di crisi (ammesso che sia stata una crisi del romanzo e non mia) e salire costantemente, fino al racconto forse liberatorio del suicidio della madre, che aleggia in buona parte del romanzo e che, lungo tutto lo sviluppo di esso, Oz sembra aver cercato il coraggio e la forza di scrivere, alla fine trovandola.
    Dicevo della ebraicità che Oz descrive in modo ironico ed efficace sia nei suoi caratteri per così dire endogeni che esogeni: così per esempio già a pagina 27 (edizione cartacea in brossura) mette a segno una stoccata molto efficace con lo spiegare i rovelli dell’ebreo di stretta ortodossia onde decidere se comprare formaggio arabo o israeliano, con la seguente inevitabile conclusione: “Vergogna! Che onta! In un caso nell’altro deplorevole comportamento!”.
    Questa “impossibilità di essere normale” trova il suo simbolo fosse più efficace dello zio Yosef, uomo di immensa cultura e ingegno ma che viene anche descritto così:
    “Era una persona incredibilmente sincera, mio zio Yosef, traboccante di egocentrismo e autocommiserazione, sensibile e ansioso di gloria, pieno di allegria infantile, un uomo felice che dava sempre l’impressione di essere disperato”.
    E ancora, sulla condizione ebraica:
    “… quando mio padre era ragazzo a Vilna, stava scritto su ogni muro d’Europa: ‘ Giudei, andatevene a casa, in Palestina’. Passarono cinquant’anni e mio padre tornò per un viaggio in Europa, dove i muri gli urlavano addosso: ‘Ebrei, uscite dalla Palestina”.
    È chiaro che in questa situazione l’essere dotato di virtù eccezionali diventava una necessità per poter sopravvivere. Oz non lo dice, ma certe qualità che spesso ritornano nel romanzo (l’enorme cultura, il poliglottismo, la tenacia) lo suggeriscono.
    Memorabili il capitolo (45) sulla nascita dello Stato di Israele, così come quello (53) sull’incontro con Ben Gurion.
    Un romanzo complesso, ricco, probabilmente non sintetizzabile in un preciso contenuto, ma che trova il punto più alto laddove (pg. 412) espone la tesi di fondo sul conflitto arabo-palestinese.
    Un romanzo di grande intelletto, perizia letteraria, ma anche umanità (“tutti, senza eccezione, hanno bisogno di un po’ di pietà”). Probabilmente da rileggere, se ce ne fosse il tempo.

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