La rilettura di queste “Lezioni”, stimolata da un paio di articoli apparsi sul “Corriere Innovazione ” (supplemento credo mensile al Corriere della Sera, di cui consiglio caldamente la lettura), è stata un vero piacere, perché conferma la grande cultura umanistica e scientifica di questo uomo, purtroppo scomparso troppo presto, ben dissimulata sotto lo stile, l’ironia gentile e la leggerezza che lo contraddistinguevano.
Come mi ricordavo, la lezione più bella, direi proprio splendida, è quella sulla “Leggerezza”, dove con un funambolismo che non è mai fine a se stesso Calvino sviluppa il tema che certamente ha connaturato tutta la sua opera, e che più gli è caro, facendo passeggiare il lettore, con una fantasia che non è mai minore della padronanza del materiale trattato, tra Lucrezio, Ovidio, Cavalcanti, Boccaccio, Dante, Cervantes, Shakespeare, Swift, Rostand, Leopardi, Valery, James, Kafka ecc.
La lezione contiene una serie di passi ammalianti e memorabili. Ne cito solo un paio.
Parlando della “gravità senza peso” in Cervantes e Shakespeare, Calvino dice che in questi due autori si salda una “speciale connessione tra melanconia e umorismo“; “come la melanconia è la tristezza diventata leggera, così lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea“.
L’incontro con Leopardi gli suggerisce invece questa considerazione: “La Luna, appena s’affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. In un primo momento volevo dedicare questa conferenza tutta alla luna: seguire l’apparizione della luna nelle letterature d’ogni tempo e paese. Poi ho deciso che la luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare“.
Le altre lezioni (“Rapidità”, “Esattezza”, “Visibilità”, “Molteplicità”) pur notevolissime, non mi sembrano dello stesso ineffabile livello; forse quella che mi è piaciuta di più è l’ultima, quella sulla “Molteplicità”, che Calvino sviluppa, ancora una volta con impareggiabili padronanza e fantasia, raccontandoci di Gadda, Musil, Proust, Flaubert, Borges, Perec. Una vera manna.
Anche qui almeno una citazione, per quanto un po’ lunga: “L’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverata in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là di ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è saper tessere insieme diversi saperi e diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo“. Nel mio piccolo non sono neppure del tutto d’accordo, ma che meraviglia!
Mi sarebbe piaciuto molto se Calvino avesse dedicato una lezione, che peraltro neppure era prevista, al tema della profondità, su cui penso avrebbe potuto dire cose memorabili. Ma questo rimane, più che un desiderio, un sogno.
Poronga