Alice Munro “Troppa felicità”

Di felicità, in questa raccolta di racconti (la specialità della casa) non ce n’è proprio.

Ciò detto, aggiungo che dei quattro o cinque libri che ho letto di Munro questo è quello che mi è piaciuto di più.

Bellissimo il primo racconto, “Dimensioni”, che scopre la pietà per un giovane psicopatico che uccide i tre figli piccoli perché la giovane moglie si è allontanata da casa; ma anche “Radicali liberi”, dove una anziana signora, sola e gravemente malata, si trova a dover fronteggiare un tizio pluriomicida che le piomba in casa; “Faccia”, il cui protagonista è un ragazzo dal volto deturpato da una voglia di colora viola; “Bambinate”, sulle crudeli discriminazioni subite da una ragazza dal lieve ritardo mentale, con un tremendo epilogo; chiude “Troppa felicità”, singolare racconto di fine ‘800 (vi compare anche Dostoevskij), la cui protagonista è Sofia Kovalevskaja, misconosciuto genio della matematica (sarà un caso che “genio” non può essere declinato al maschile?).

Un  paio di citazioni: “Avrei voluto tornare indietro e sentire la sua faccia sulla mia. La sua guancia sulla mia. Ma i sogni, si sa, non sono così arrendevoli”. Oppure la chiusa di “Faccia”: “Pensate che avrebbe potuto cambiare le cose? La risposta è certo, oppure un po’, oppure mai e poi mai”.

Il mondo di Munro è triste, cupo, misterioso, ma anche indagato e rappresentato  -e questi sono i maggiori pregi- da una prospettiva molto personale e insolita, sorretta da una penetrante capacità descrittiva, nella quale spesso il non detto ha la stessa importanza di quanto viene invece esplicitato.

Leggendola mi ha talora richiamato due grandi maestri del racconto, Flannery O’ Connor e Raymond Carver, e scusate se è poco.

M. è capace di una scrittura limpida, tesa e precisissima (ad esempio quando racconta magistralmente l’ultimo giorno in colonia in “Bambinate”, o l’incidente nel bosco in “Legna”), anche se frequentemente preferisce forme ermetiche e un po’ nebulose che potranno piacere a molti, ma che a me non si confanno.

Un ottimo libro, al punto che le perdono volentieri di aver a un certo punto definito “I promessi sposi” -ohibò-  “un mattone”.

Poronga

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