Francesca Giannone “La portalettere”

Giugno 1934: in un piccolo paese del salentino arriva dritta dritta dalla Liguria Anna, che Carlo, irresistibile per simpatia e vitalità, ha conquistato convincendola a sposarlo e seguirlo nel suo paese d’origine, dove vive la sua agiata famiglia di proprietari terrieri. Parte di qui questo articolato romanzo dai molti avvenimenti,  che vede Anna intrecciare una serie di relazioni con le persone del luogo, di famiglia e non, senza però rinunciare a nulla di quello che è, a cominciare dalle sue radici, simboleggiate dalla ricetta del pesto genovese che la nostra eroina non rinuncerà mai a preparare come se fosse un rito, sempre e solo nel mortaio di marmo che si è portato da casa.

Anna è una ragazza dalla forte personalità e con le idee molto chiare, anche e soprattutto riguardo alla emancipazione femminile, che mette in pratica trovando nello stupore e indignazione generale un lavoro di postina che mai abbandonerà, e arrivando addirittura a mettere in piedi una “Casa della Donna” alla cui inaugurazione non viene, ovviamente, nessuno, ma che si affermerà presto come un centro di accoglienza delle donne bisognose, a partire da quelle abbandonate o maltrattate.

Pregi del libro: onestà e cuore; una certa inventiva nel costruire una storia complessa che non manca di figli segreti, gelosie ecc.; la trattazione dell’amore carsico e strettamente sorvegliato fra Anna e Antonio, il fratello di Carlo, cui però entrambi vogliono un bene dell’anima, e che trova la sua conclusione in queste parole della protagonista: “La verità, mio caro Antonio, e che per tutto questo tempo abbiamo avuto bisogno di odiarci. Era l’unico modo per non tradire Carlo. La verità, come mi hai detto una volta, si trova fra le righe. E sai cosa c’è tra le mie? C’è chi rischiavo di amarti più di quanto avesse mai amato Carlo. E non potevo permettere che accadesse. Carlo non se lo meritava. Ora lo sai…”.

Difetti: nella narrazione, che si esaurisce nel 1960, viene saltato e piè pari l’intero periodo della guerra, probabilmente troppo difficile da inserire nel romanzo; la piccola provincia del sud Italia, che conosco abbastanza bene, non è minimamente riconoscibile; ogni tanto vi è una certa affettazione, per esempio nel po’ di francese che Anna si ostina a parlare col figlio.

Però Giannone ce l’ha messa tutta, realizzando alla fine un lavoro niente affatto disprezzabile e che si fa leggere abbastanza bene.

Poronga

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