Si tratta di un fluviale romanzo autobiografico nel quale V.T. racconta i tanti lavori fatti a partire dagli anni ’70, quando a quindici anni, per comprarsi una bicicletta e liberarsi dall’imbarazzo di dover usare quella da donna ereditata dalla sorella, va a lavorare in una sordida fabbrichetta che produce gabbiette per uccelli. Una serie di lavori duri, malpagati, tutti rigorosamente in nero e nei quali la sicurezza del lavoro è una barzelletta.
Il tutto nel profondo Veneto democristiano fatto di potentati, raccomandazioni, consorterie piccole e grandi, ipocrisie, feroce religione del lavoro e della produzione.
Spira nel libro una forte critica sociale unita al disperato rifiuto di un adattamento del quale Vitaliano è incapace, e che trova sbocco in una parallela e costante attività di piccolo spaccio di sostanze stupefacenti che il protagonista svolge e racconta senza alcuna remora o apparente imbarazzo, al pari dei piccoli furti ai quali per un breve periodo si dedica.
Il romanzo mi ha ricordato quel capolavoro che è “La vita agra” di Bianciardi, ma quanto questo è compatto, laconico e incisivo, tanto “Works” è prolisso, sovrabbondante, specie nel riferire diffusamente una serie di particolari di scarso interesse. Sembra proprio che T. scriva per sé e non per il lettore, il che non è di per sé affatto negativo, a patto però di mantenere un controllo che qui per molti tratti sfugge.
Peccato, perché il materiale narrativo è decisamente interessante e T. è capace di una scrittura che scorre agevolmente e di molte considerazioni tutt’altro che banali.
D’altra parte scrivere un libro, come questo, di oltre settecento pagine richiede molto -a maggior ragione con tutto quanto d’altro ci sarebbe da leggere- al lettore in termini di tempo e attenzione; ed è un impegno che lo scrittore secondo me deve tanto più meritarsi quanto più il libro è lungo.
Morale, dopo circa un terzo mi sono fermato, anche se il mio giudizio è complessivamente positivo.
Poronga