T. D. è una scrittrice danese nata nel 1917 e morta suicida nel 1976.
Che sia stata una persona tormentata lo si capisce da questo breve testo, che fa parte di una trilogia i cui altri due volumi, credo non tradotti in italiano, sono intitolati “Youth” e “Dependecy”.
Qualche esempio: “l’infanzia è lunga e stretta come una bara, e non si può uscirne da soli“; “l’infanzia va patita e superata con fatica, ora dopo ora, per un inconcepibile numero di anni. Solo la morte può liberarcene“. D’altra parte l’autrice si dichiara “straniera in questo mondo, e non c’è nessuno a cui io possa sottoporre i soverchianti quesiti che mi invadono la mente alla sola idea di futuro“.
Neppure il rifugio nella poesia, cui l’autrice si dedicò fin dalla giovanissima età, sembra di grande conforto, anche se verso la fine del libro T. D. scrive: “Sono passati secoli, e mi sembra di essere stata molto felice, a quell’epoca, nonostante il doloroso senso di eternità dell’infanzia“.
Non l’ho trovato nulla più che un libro meritevole di rispetto.
Poronga