Nonostante una precedente esperienza negativa (“Sotto i venti di Nettuno”, già commentato), essendomi trovato in casa questo romanzo ho fatto un altro tentativo, che è andato ancora peggio del primo.
A parte il bislacco plot basato su un tizio che nottetempo disegna dei cerchi azzurri sull’asfalto contenenti le cose più varie, compreso a un certo punto un cadavere (davvero non un granché che come trovata narrativa), quello che mi ha irritato è il modo oscuro e ammiccante col quale V. scrive; alla fine una furberia sotto cui nascondere una sostanziale mancanza di estro e idee. Così è ad esempio per la teoria, stralunata e incomprensibile, con la quale uno dei personaggi del romanzo divide i giorni della settimana in due blocchi, detti tranche 1 e tranche 2, che presenterebbero diverse opportunità e caratteristiche, alle quali gli umani dovrebbero conformare il loro comportamento: una sciocchezza che però viene più volte ripresa.
E che dire del protagonista del libro, il commissario Adamsberg, che “vive mescolando tutto, le grandi idee e i piccoli particolari, le impressioni e la realtà, i verbi e i pensieri. Confondendo le credenze dei bambini e la filosofia dei vecchi”? Ma che significa?
Per sovrammercato V. tenta pure di fare la spiritosa, ma le viene male e il risultato è fatalmente un po’ patetico.
Me la sono data a gambe dopo 100 pagine. Decisamente troppe.
Poronga