Una piccola e variegata comunità di ultrasessantenni vive in un grappolo di case sparse in una campagna poco discosta da una cittadina. Durante una notte le case e i suoi abitanti vengono flagellati da un temporale di fine estate dalla inusitata violenza. Ciò porta uno scompiglio che non riguarda tanto i luoghi colpiti dall’evento, pur duramente provati (ma in fondo nulla di grave) quanto le persone che vi abitano, che è come se avessero ricevuto una specie di scossa che ne altera in modo imprevedibile i comportamenti, soprattutto attinenti alla sfera sessuale. Appetiti e pulsioni che sembravano sopite si rianimano improvvisamente, in una serie di indiavolati incroci dalle alterne vicende.
Congegnato come un “romanzo teatrale”, in cui vi è un prologo, cinque atti e un epilogo, sembra un po’ un divertimento dell’autore, impegnato a descrivere “le cose strane che un temporale può scatenare in una valle abbandonata“.
La parte senz’altro più riuscita è il prologo, ossia la descrizione del temporale che si abbatte su cose e persone. Lo sviluppo però mi è parso abbastanza fiacco e sciapo, nonostante le buone doti stilistiche di Cancogni.
Premio Strega 1973, dimostra che anche allora qualche volta venivano premiati libri tutto sommato trascurabili.
Poronga