Tanto per incominciare Giulia Caminito non è affatto una scrittrice qualunque. In secondo luogo ha il merito di affrontare, e più che bene, il tema della povertà, che non mi risulta essere particolarmente frequentato, pur essendo noto che i poveri sono sempre di più (mentre i ricchi non si sa se sono sempre di meno, ma certamente sempre più ricchi).
La protagonista ed io narrante, che credo venga nel romanzo nominata una sola volta, quando si firma Gaia in una bella lettera inviata alla sua più cara amica, vive a Roma in una specie di seminterrato di 20 mq col padre ridotto su una sedia a rotelle per un incidente sul lavoro (nero), tre fratelli, e la madre Antonia, che ha tutto sulle sue spalle.
“Io non ho giocattoli e ho poche amiche, mi tocca di ogni cosa la sua mala copia: la bambola cucita con pezzi di stoffa avanzati, la cartella usata da un’altra bambina e con i suoi disegni sopra, le scarpe del mercato portate a casa senza scatola ma dentro una busta di plastica con la suola già consumata, al posto delle luci di Natale i mandarini, al posto delle Barbie le loro fotografie ritagliate dalle riviste”.
Antonia (sempre Antonia, quasi mai “mamma”) è un bellissimo personaggio: infaticabile, ferrea, impavida, decisa e coraggiosa, di una etica intransigente, innanzitutto con i suoi figli, e che neppure il più disperato ed estremo bisogno riesce a scalfire; infine, intelligentissima.
“Antonia di lavoro pulisce le case degli altri, ma sa fare molte cose in più, come per esempio riparare mobili rotti, far ripartire lavastoviglie lente, sa cambiare lampadine e spurgare i termosifoni, sa cucire abiti semplici, rattoppare calzini, sa mettere insieme con poca spesa costumi e travestimenti, sa tagliare il legno per mensole e mobiletti del bagno, se serve tosa l’erba e se la cava con le rose”.
Ma non solo: “Antonia comanda nelle case in cui lavora come fa nella nostra, impartisce ordini nei cassetti, sgrida bambini, decide detersivi e impone modi di stendere i panni, lucida gli argenti con prodotti fai-da-te, commenta ciabatte lasciate per casa, detesta i giocattoli sparsi, dà a ogni verdura, formaggio, insaccato un proprio contenitore in cui attacca etichette bianche per indicare la data di scadenza, fa liste della spesa in cui non transige sulle merendine industriali e la coca cola, pettina i capelli alle bambine facendo loro le trecce quando tornano da scuola, nessuno vuole farla arrabbiare”.
Antonia è anche molto altro, una vera iradiddio.
Quando il figlio maggiore vuole andare a Genova per la famigerata manifestazione del G8: “Mio padre prova a dire la sua: Anche noi Antonia abbiamo fatto le nostre manifestazioni, anche noi siamo stati per strada, ai ragazzi serve andare agli scontri, serve stare in prima linea. Ah sì, serve? Guardaci, tu senza gambe e io a spazzare nelle case degli altri, a pulirgli il culo. A loro serve studiare, non c’è altro che serve”.
E Antonia i figli li fa studiare, e quando il ragazzo non torna da Genova e non dà notizie di sé prende il treno, lo cerca, lo trova, e lo riporta a casa.
A un certo punto, e siamo quasi all’inizio del romanzo, Antonia decide di prendere la famiglia e portarla in una cittadina sul lago di Bracciano, dove li aspetta una vera casa, frutto di una specie di scambio. Qui emerge la figura di Gaia, i rapporti complicati con le sue amiche e con i ragazzi, lo studio indefesso, il suo carattere difficile e ombroso, che la porta anche ad atti impulsivi e talora molto violenti; e, sempre, la costrizione della indigenza, peraltro mai trattata con toni lamentosi.
Su tutto domina ancora Antonia, per esempio quando Gaia, laureatasi, non trova lavoro:
“Troverò qualcosa.
No, non troverai qualcosa, troverai il lavoro per quanto hai studiato, non andrai al fioraio, al bar, al ristorante, a prendere soldi in nero, senza assicurazione, senza ferie.
La conosco già questa storia.
La conosci? Non una è storia, ma la nostra vita.
La tua vita.
La tua vita è la mia”.
E Gaia a un certo punto, sfinita si domanda: “Perché sempre si oppone ? Si erge come diga. Perché non si fa vicina? Come tutte le madri, o almeno la madre che io vorrei, e non bacia, non accarezza, non pettina i capelli, non rassicura, non incoraggia, ma solo giudica e pretende”.
E quando Gaia le dice di una sua amica morta, lei commenta: “Perdere un figlio è il più grande dolore. Dopo si è alzata ed è andata a pulire i fagiolini”.
Non tutto il romanzo ha la stessa tensione, e ogni tanto vi sono dei cali. Ma quando compare Antonia si accende sempre la luce, e Caminito crea un personaggio veramente speciale e memorabile, con le sue luci e le sue ombre.
Degnissimo premio Campiello 2021 (e finalista allo Strega che mi piacerebbe sapere perché non ha vinto).
Poronga