Tornano le due protagoniste de “L’arminuta”.
L’arminuta è riuscita faticosamente a ripartire dalla famiglia povera e disgraziata nella quale era ritornata per costruirsi, laureata, una vita altrove all’Università di Grenoble, dopo un matrimonio fallito essendosi il marito scoperto omosessuale. Improvvisamente riceve una telefonata che la costringe a tornare a precipizio a Pescara in soccorso della sorella Adriana, rimasta come allora impulsiva, sanguigna, vitale, imprevedibile.
Il ritorno a casa le impone di ritessere le fila del suo passato: i rustici e primitivi genitori, il rapporto ancora affettuoso e mai interrotto con l’ex marito, il rapporto con Adriana, sempre in guerra col mondo, specialista nel ficcarsi nei guai e sua eterna spina nel fianco, nel frattempo diventata madre di un bambino concepito con il suo grande e scapestrato amore, ridottosi in condizioni pietose.
Il racconto esplora relazioni umane forti, violente ed irrisolte, che risentono di una terra aspra, della quale borgo sud, il quartiere marinaro di Pescara nel quale si svolge la vicenda, è simbolo, con un finale aperto.
Ho trovato questo romanzo un po’ inferiore a “L’arminuta” e soprattutto al bellissimo “Bella mia”. Esso però conferma che D. P. è una scrittrice seria e ricca di talento, come dimostra l’incipit del libro: “La pioggia si è rovesciata sulla festa senza il preavviso di un tuono, nessuno tra gli invitati aveva visto le nuvole addensarsi sopra le colline scure di boschi”.
Poronga