Antonio Moresco “Gli esordi”

moreicona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoDopo il bellissimo “La lucina” segnalato dalla signora Nilsson, mi sono cimentato con “Gli esordi”, opera prima di Moresco, scritta e riscritta per quasi quindici anni.

Non ce l’ho fatta, e lette circa 150 pagine ho alzato bandiera bianca.

La prima parte si svolge in un seminario popolato da strani personaggi: il Priore dalle due teste, il Gatto, prefetto del seminario e che come un gatto si muove ingaggiando talora furibonde zuffe, l’uomo con gli occhiali, fuggito e rimasto allo stato laicale ma poi tornato non si sa bene a cosa fare, e il protagonista, un novizio senza nome, che partecipa e assiste quasi attonito alla vita della istituzione e ai suoi rarefatti riti, fra i quali ad esempio la vestizione e svestizione fatta sotto le coperte per non mostrare la nudità.Poi a un certo punto arriva su una rombante moto il Nervo, che carica il protagonista conducendolo lungo un viaggio notturno in un luogo chiamato Ducale, dove il novizio verrà circonciso (sic) per poi assistere al matrimonio della Turchina, figlia dello Ziò, un uomo quasi mitologico, di cui ad esempio si legge:

Tutt’intorno e persino tra le dita esplodevano e si ramificavano fiori curiosi ormai calcificati. Potevano cambiare forma di continuo, mentre la callista non finiva di rigirarsi quel piede fra le mani, si scioglievano e si rapprendevano in zone sempre diverse per la semplice pressione delle sue dita”.

Non tutto è così estremo, ma questo passo serve a rendere il clima visionario, onirico e talora  soprannaturale del romanzo (“mi resi conto che tutta la villa stava vibrando distintamente sul suo zoccolo di vetro”).

L’ottima capacità di scrittura di Moresco non è lontanamente bastata a indurmi a continuare per diverse altre centinaia di pagine, spesso distraendomi come succede quando un libro, a torto o a ragione, non riesce a interessarmi, trasformandosi in un peso.

Giudizio sospeso.

Poronga

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