Paolo Nori ha un modo molto personale di scrivere, che a me piace, e che credo sia innanzitutto il risultato di un modo molto personale di pensare e prima ancora di vivere.
Laureatosi credo verso i 30 anni in lingua e letteratura russa, è poi andato in Unione Sovietica e in Russia molto spesso, maturandone una conoscenza e un amore profondi; innanzi tutto, ovviamente, per la sua grande letteratura che, dice, “è un’esperienza diversa: è come se leggere i russi volesse dire entrare in uno spazio diverso, con degli elementi diversi, una gravità diversa, una geometria diversa e un peso specifico diverso; attraversare il campo della lettera russa è una cosa che lascia dei segni che sono dei segni che uno se li può fare solo lì, secondo me“.
Oltre a ciò, nei vari brevi capitoli che compongono il libro, vi sono valutazioni e testimonianze più generali: “L’Unione Sovietica, quando l’ho vista io, nel 1991, mi dispiace, era un posto bellissimo, che era così grigio, così povero, così misero, così fatto a mano, così diverso dai nostri posti, che scintillava di bellezza, di dolore, di amore, di solidarietà, mi dispiace ma a me era sembrato così“.
“Io non discuto. Lo Stato sovietico non è il posto migliore del mondo. E laggiù c’erano tante cose spaventose. Tuttavia c’erano anche cose che non dimenticheremo mai. Sgozzatemi, squartatemi pure, ma i nostri fiammiferi erano meglio di quelli americani. È una sciocchezza, tanto per cominciare. Andiamo avanti. La polizia a Leningrado agiva più operativamente. E non parlo dei dissidenti. Delle malefatte del Kgb. Parlo dei normali, banali poliziotti. E dei normali, banali teppisti… Se si urla in una via di Mosca “Aiuto!” la folla accorre. Qui ti passano accanto. Là, in autobus, cedevano il posto agli anziani. Qui non succede mai. In nessuna circostanza. In generale c’erano molte buone cose. Ci si aiutava a vicenda un po’ più volentieri. E ci si azzuffava senza paura delle conseguenze. E ci si congedava dall’ultima banconota senza tormentosi indugi. Non sta a me criticare l’America. Io per primo sono sopravvissuto grazie all’emigrazione. E amo sempre di più questo paese. Cosa che non mi impedisce, penso io, di amare la patria che ho lasciato. I fiammiferi sono una sciocchezza. Sono altre cose importanti. Esiste il concetto di pubblica opinione. A Mosca era una forza reale. Una persona“.
Poi di notevole c’è il ritratto del popolo russo: per certi versi dei veri pazzi che, racconta Nori, hanno 40 modi per dire “ubriacarsi” e che quando per un certo periodo sparì la vodka si misero a bere acqua di colonia….
Paolo Nori è uno mite ma insieme appassionato e sanguigno. È il classico scrittore che (cito a memoria) ti piacerebbe fosse tuo amico e chiamarlo tutte le volte che ti gira, eccetera. In effetti l’ho sentito parlare una volta ed è molto simpatico e genuino. D’altra parte uno che chiama la moglie “Togliatti”, la figlia “Battaglia” e intitola un capitolo “Comunque” non può essere che così.
Nel libro ci sono poi molte altre cose, e secondo me vale decisamente la pena di leggerlo anche se, ovviamente, non è detto che abbia ragione su tutto; ma se non altro è sincero.
Poronga