I ragazzi di “Trainspotting” tornano dieci anni dopo; Renton deve aver fatto un gran brutto tiro agli altri (anche se fino a dove sono arrivato non si sa ancora quale), Begbie è appena uscito di galera avendo scontato una condanna per omicidio preterintenzionale; Sick Boy gestisce un pub a Londra e ne apre un altro a Edimburgo, che incomincia anche ad usare come set per film pornografici. E qui vi è l’unico passo del libro che ho notato, quando il cinico Sick Boy dice: “È questo il discorso, a lavorare nel sesso: che alla fine tutto si riduce alla più semplice delle formule. Se vuoi vedere veramente come funziona il capitalismo, lascia stare la fabbrica di spilli di Adam Smith… il posto da studiare è questo qui”.
Il problema è che questo romanzo proprio non decolla; Welsh ha un modo molto “pulp” e brutale di scrivere, e quindi assai rischioso perché se non è sorretto da una robusta ispirazione rischia di diventare semplicemente greve, monotono e anche un tantino becero.
Sicché dopo un po’ riuscivo a vedere poco altro se non il pesante e ruspantissimo slang del romanzo e soprattutto, in tale contesto, il numero di male parole: ad esempio (potenza dell’e-reader) “cazzo” viene ripetuto 1197 volte, “stronzo” 552, “coglione” 168, “culo” 270, “merda” 270 (più 30 “merdoso”): “figa” invece ispira poco (72) e ancora meno “seghe”, solo 30. Forse in “Trainspotting” non ce n’erano meno, solo che lì erano al servizio di un romanzo durissimo e ben scritto, qui al servizio del nulla o poco più. Quindi giunto a circa un quarto ho detto addio senza rimpianti.
Morale: diffidare dei sequel che quasi sempre sono delle furbate; e qui anche il nostro Irvine Welsh, duro e puro, si incrina.
Poronga