John Cheever “Il prigioniero di Falconer”

chee.pngicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoEzekiel Ferragut è un galeotto atipico. Eroinomane (un lascito della guerra) è però un intellettuale raffinato (tiene accanto alla branda un libro di Galileo) e si capisce chiaramente, anche se non viene dato alcun dettaglio, che ha un passato agiato e brillante, per quanto non privo di eccessi e sofferenze.

Rinchiuso nel carcere di Falconer, sconta la pena dell’ergastolo per aver ucciso, a quanto pare abbastanza casualmente, il fratello durante un alterco.

Accetta, sembrerebbe senza fare troppe storie, il destino di una esistenza irrimediabilmente rovinata e rinchiusa in un posto sordido, violento e folle.

Allo stesso modo, nonostante le donne anche bellissime avute in passato, accetta l’omosessualità che attraversa praticamente e senza eccezioni tutti i detenuti: in carcere si diventa omosessuali “veri”.

La vita passa nel nulla attraverso piccoli riti, litigi, sforzi per migliorare anche minimamente la propria condizione, talora ribellioni grandi e piccole. Ovviamente non racconto il finale.

Non posso dire che questo romanzo mi abbia fatto una grande impressione, anche se certamente non si tratta di un libretto qualunque.

Mi ha sorpreso apprendere che un romanzo tutto sommato molto scabro e sofferto, e certo di non scorrevolissima lettura nonostante le sue meno di 200 pagine, sia stato addirittura un best-seller.

Poronga

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3 thoughts on “John Cheever “Il prigioniero di Falconer”

  1. E invece, nonostante le due teste e mezzo – che per me sarebbe un buon voto ma per te mi sembra di capire mica tanto – e nonnostante il mio scarso amore per gli Americani contemporanei, mi hai fatto venire voglia di leggerlo. Ti saprò dire.

  2. Ho seguito il consiglio di Poronga e ho letto Falconer, devo dire con piacere. Anzi, tutto sommato ne do un giudizio anche più positivo, perché se è vero che è un romanzo scabro e sofferto, non mi sembra affatto che la scrittura non scorra, anzi. E’ un libro molto raffinato e intellettualmente impegnativo, direi addirittura di impegno sociale. E non tanto perché parla delle carceri, ma per una analisi spietata della società in generale.
    Anche io non racconterò il finale, che ho trovato bello, ma voglio almeno dire che una delle qualità del libro che lo rende intellettualmente stimolante è un sapiente uso del simbolismo – il che gli consente di affrontare in sole 200 pagine molte tematiche fondamentali – a cominciare dal trasparente richiamo al primo omicidio/fratricidio dell’umanità, quello di Caino nei confronti di Abele, e infatti anche questi due fratelli hanno nomi biblici. E Ezekiel butta via una bella moglie, una bella casa, un bel lavoro da docente universitario per una inquietudine interna di cui poco si sa – ma faceva uso di eroina – per uccidere il fratello Eben per motivi che solo alla fine verranno accennati, dopo che per tutto il libro gli veniva chiesto da ogni parte ” Ma perché hai ammazzato tuo fratello? “. Un libro inquietante, e quindi bello.

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