Di Ishiguro avevo letto l’elegante e suggestivo Quel che resta del giorno e i racconti, di cui ricordo soprattutto la raccapricciante potenza evocativa de «Il gourmet».
Per diverse ragioni non lessi Non lasciarmi quando uscì. Così ora, vista anche la motivazione del Nobel, sono andata a cercarlo.
È una storia raccontata sottovoce, un filo di perle di sentimenti lievi e piccoli eventi quotidiani, quasi insignificanti se non fosse per la malinconia struggente e il senso di incombente tragedia che in qualche modo, sin dalle prime righe, aleggia su tutto il romanzo.
È la storia di un’amicizia imperfetta e dolente e di un amore abortito e triste che nascondono un mistero che solo alla fine sarà disvelato, ma soprattutto è il ritratto incisivo e commovente della nostra fragilità, dell’umana impotenza e vulnerabilità di fronte alla morte, al dolore, alla crudeltà dell’esistenza.
Una storia che non mi sarà facile dimenticare. Dolorosa e straziante come un disperante, inascoltato grido d’aiuto. Difficile per me dare teste d’asinello, in questo caso.
la signora nilsson