Imparare a volare, pilotando un aereo non è solo una questione di abilità tecnica. E’ una questione
decisamente psicologica: volare per l’uomo è decisamente innaturale e per imparare a farlo ci vuole
una bella dose di temerarietà e di fiducia nella scienza e nella tecnica.
Daniele Del Giudice ci narra con passione la sua esperienza: la gioia che si prova a staccare l’ombra
da terra, ma anche il panico che si prova la prima volta che si entra in una nube o al prima volta che il
nostro “maestro” ci svezza, spingendoci a volare da soli.
Già, anche il “maestro” ha un ruolo importante nel libro. Il maestro che ci trasmete una tecnica, ma
che molto di più, mette la nostra stessa vita nelle capacità delle nostre mani e dei nostri sensi. Un
maestro che è anche guida e al quale saremo legati da un transfert che non sarà facile spezzare.
Un libro quindi non freddamente legato ad una esperienza di apprendimento tecnico, ma il racconto
di una esperienza complessiva che ha a che fare con i vissuti intimi dell’autore.
Nel libro non trovaimo solo l’esperienza di Del Giudice, ma anche le vite degli altri che hanno fatto
del volo la loro esitenza.
Racconti eroici ed appassionati di piloti di aereosiluranti durante la seconda guerra mondiale, le loro
abilità, le loro paure, il loro entusiamo.
Ma ci sono anche infine, toccanti e commoventi, le voci dei fantasmi che popolano gli aeroporti
minori, dove le anime vanno a riposare e a far quattro chiacchere con qualche piolta sfaccendato.
Sono le voci dei pioloti del ATR42 precipitato a Conca di Trezzo, per il ghiaccio formatosi sulle
ali……..le voci degli ultimi istanti, eternamente impresse nella scatola nera.
Non si può non fare correre la mente anche verso il bellissimo “Volo di notte” di Saint Exuperie e
non si può che commuoversi.
Non si può rimanere insensibili a questo tessuto inestricabile di vita, tecnica, sentimenti, abilità, impotenza, motori, ali e vite umane.
Piccolo romanzo, assai ben scritto, davvero da non perdere.
Del Giudice, un giovane scrittore italiano con assolutamente qualcosa da dire.
Mr. Maturin
Concordo in pieno sul giudizio positivo sul libro; osservo solo che mi pare improprio definire Daniele del Giudice “Un giovane scrittore italiano” visto che è nato nel 1949 e ha scritto questo romanzo nel 1984, a 45 anni…. Sfortunatamente, dopo Staccando l’ombra non ho più avuto il piacere di leggere altre cose sue di buon livello… forse me le sono perse, in tal caso sarei veramente grato a chi me le segnalasse….
Silver3
1984 – 1949 = 35. E poi in Italia si definiscono giovani anche i cinquantenni !
Scuami Silver3 sul termine giovane…….non sapevo l’età precisa e ormai mi capita di usare il termine giovane anche per gli ultra cinquantenni……
Di Del Giudice, segnalo anche Atlante Occidentale, una storia di un fisico che lavora al CERN, interessante, ma forse un po’ cervellotica e soprattutto Orizzonte Mobile, resoconto di un viaggio presso una stazione di ricerca in Antartide. Questo l’ho trovato molto bello, anche se il mio preferito è sempre Staccando l’ombra da terra
grazie molte per le segnalazioni… il mio era solo un commento divertito, visto che anch’io avevo trovato bellissimo “staccando…” e poi non ne avevo più sentito parlare per quasi vent’anni…
Un ringraziamento a Mr. Maturin che mi ha fatto conoscere uno scrittore che non conoscevo. Sull’età sbagliavamo tutti: Del Giudice è del 1949, ma il libro non è del 1984, ma del 1994, Quindi aveva davvero 45 anni. Oggi ne ha 65,, forse definirlo un giovane scrittore è un po’ eccessivo, persino in Italia !
Anch’io e devo ringraziare il Dottore della segnalazione, senza la quale me lo sarei perso.
L’ho inteso come un libro sulla poesia del volare: i capitoli hanno i più svariati contenuti, ma sono tutti legati da questo filo rosso.
È proprio un mondo a parte, quello del volo, come evidenzia questo passo: “Bravo per B, Sierra per S, un lessico al servizio di un alfabeto e non viceversa, Juliet, Charlie, Mike, Oscar, Romeo e Victor, sei nomi di persone, due balli, il fox trot e il tango, due nazioni, il Quebec e l’India, una sola cittadina Lima, due etnie, Yankee e Zulu”. Eppure “Per quanto questa lingua all’inizio ti apparisse cerimoniosa e stravagante, a poco a poco ti rendesti conto della sua serietà, un linguaggio ogni volta definitivo, il solo in cui un errore o un fraintendimento potevano non avere ulteriore occasione per essere chiariti”.
Un bel libro, che fa venire voglia di volare, e magari anche il rimpianto di non averci mai provato.
Poronga
PS: c’è anche un capitolo sulla sciagura di Ustica, che caso ha voluto leggessi proprio mentre ero in volo: una esperienza anche questa
Ho pilotato per 10 anni aerei “da turismo” prima che il mio Amore finisse in carrozzina con SM. Mi sento in sintonia con lui, pilota e ritengo che “voli” più in alto delle paranoie di Richard Bach…che comunque amo ugualmente